Voto su Rousseau: giù le mani dalla democrazia reale

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In epoca di tifoserie politiche si cerca di capire subito, già dal titolo o dalle prime righe, in quale curva si collochi l’autore di un qualsiasi pezzo, per poi decidere se proseguire nella lettura o se cominciare immediatamente a inveirgli contro.

Quei quattro che leggeranno questo post saranno invece costretti ad arrivare fino in fondo prima di decidere come regolarsi per la reazione.

Partiamo da una presa d’atto: la nostra democrazia è in crisi. Che il meccanismo della rappresentanza si sia inceppato già da tempo è una realtà acclarata, nei partiti come nei sindacati come in tutti quelli che – solo nella teoria – vengono ancora definiti “corpi intermedi”. Nessuno però muove un dito per restituirgli efficacia. Si è creata a un certo punto una specie di bolla partecipativa, sfociata nella diffusione del meccanismo delle primarie e nel fiorire, ma solo in periodo elettorale, di “cantieri del programma”, “officine delle idee” e altre ipocrisie del genere. Ma anche quella bolla sembra essere ormai in via di sgonfiamento.

Sia chiaro, però, che tutto ciò non è accaduto per caso. La democrazia è ritenuta accettabile solo se festiva, relegata cioè al giorno delle elezioni. Quella cosiddetta feriale, quella ordinaria, quotidiana, reale è invece vista come il male assoluto.

Detto in altre parole, il senso è: votateci, poi dimenticateci…ci pensiamo noi.

Ricordo che tempo fa circolava, tra i piani bassi del Partito Democratico, uno slogan che recitava: “Senza base scordatevi le altezze”. Teoricamente bello, ma già abbondantemente superato all’epoca. Colin Crouch, infatti, ci aveva già svelato i meccanismi della postdemocrazia, gli unici a determinare realmente le altezze. Meccanismi in cui la base non ha più alcun ruolo, se non quello di bassa manovalanza, mentre le carriere e i contenuti politici vengono stabiliti da gruppi di interesse/pressione di carattere prevalentemente, anche se non esclusivamente, affaristico.

Se questa è democrazia…

Ma qual è l’alternativa? Esistono strumenti in grado di dare efficacia alla democrazia feriale, renderla una pratica quotidiana?

Sì, ci sono e sono molto utilizzati nel mondo, anche se ciò accade lontano dai radar dell’informazione mainstream (come d’altronde la maggior parte dei fenomeni che costituiscono la cosiddetta vita reale). Nel mondo, la democrazia liquida è realtà in un numero sempre crescente di organizzazioni politiche, associative e, in alcuni casi, anche istituzionali.

Ma quindi – starete pensando – la piattaforma Rousseau è la risposta giusta alla crisi della democrazia?

No. Niente affatto!

Lo dico, però, per motivi che non hanno nulla a che fare con le critiche che in queste ore piovono su quello strumento. Sento parlare di “strumento che favorisce la manipolazione” della libertà di voto, come se questa non avvenisse nelle votazioni cartacee, gestite dal Ministero dell’Interno ad ogni tornata elettorale (quand’è che abbiamo debellato “le scarpe spaiate di Achille Lauro” et similia?).

C’è poi chi ne fa addirittura una minaccia all’art. 67 della Costituzione, all’autonomia dei parlamentari e all’assenza del vincolo di mandato. Ma non capisco quale sia la differenza con gli altri strumenti di (presunta) democrazia interna dei partiti o movimenti. I parlamentari restano comunque liberi di rispettare le decisioni dell’organizzazione che rappresentano o agire diversamente, e quindi uscirne, come sempre accaduto.

Anche il fatto che la piattaforma sia gestita da un’azienda privata, può essere un problema per chi come me è fortemente convinto che non debba esistere alcuna commistione tra istituzioni pubbliche e aziende private, ma non lo è invece per i “sinceri democratici” che non si indignano affatto quando anche le operazioni di voto, come tanti altri servizi pubblici essenziali, vengono appaltate ad imprese private, anche in democrazie acclamate.

E quindi, qual è il problema di Rousseau?

Il problema è proprio nel cardine della democrazia liquida, nell’unico tipo di garanzia reale che sia praticabile nel caso di strumenti di votazione online: l’apertura del codice sorgente.

L’idea stessa di democrazia liquida nasce all’interno della comunità del free software, nota anche come comunità open source, appunto. Il codice sorgente della piattaforma Rousseau è blindatissimo, così da sfuggire ad ogni possibilità di verifica del comportamento del software e, di conseguenza, di controllo di legittimità del voto e di correttezza della elaborazione dei risultati.

Per chi non mastica affatto la materia occorre forse specificare che il codice sorgente è l’insieme delle istruzioni fondamentali del sistema, il suo cuore, quello che ne consente il funzionamento. E il fatto che lo si voglia aperto non vuol dire affatto che chiunque possa modificarlo a piacimento, ma che, conoscendolo, ognuno possa verificarlo e anche, eventualmente, proporne delle modifiche, che poi saranno vagliate dalla community degli sviluppatori e, nel caso, validate e adottate.

È solo la totale trasparenza del codice sorgente a poter rappresentare una garanzia nel voto online. Mancando quella, come nel caso di Rousseau, il meccanismo di voto non potrà mai essere considerato pienamente affidabile.

Ed è esattamente per questo motivo che contesto l’utilizzo di quella piattaforma, perché rappresenta il totale tradimento del principio cardine della democrazia liquida.

Ben venga l’utilizzo di strumenti, anche digitali, per restituire efficacia alla democrazia, almeno interna alle organizzazioni, ma ci sono strumenti idonei per farlo. Esistono piattaforme open source personalizzabili e utilizzabili, e in Italia ci sono altri soggetti politici che le utilizzano, se pur non delle stesse dimensioni del Movimento 5 Stelle, come il Partito Pirata o Potere al Popolo. Così com’è, invece, quella dell’utilizzo della piattaforma Rousseau è una pagliacciata, l’ennesima ipocrisia sul terreno più ampio della democrazia in generale, quella bandiera che i “sinceri democratici” sventolano con vigore, prima di calpestarla inesorabilmente. Tutti, indistintamente.

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